venerdì 7 gennaio 2011

Anno nuovo, racconto nuovo

Sono nuovamente ospite di Silas Flannery, con un racconto intitolato "Rewind". Lo trovate qui.

P.s. Perdonate la latitanza, ma le notizie dell'anno nuovo, identiche a quelle dell'anno passato, mettono a dura prova le pile della mia indignazione. Ma le ricaricherò, poco ma sicuro.

EDIT: il blog "Il padre dei racconti" è sparito (Silas, dove sei finito?), per cui ripubblico qui il mio racconto.



Il vecchio signore si sedette sulla poltrona, vecchia e consumata quanto lui, appoggiò il bastone su un supporto alla sua destra e iniziò a riposare. Dopo qualche minuto il suo nipotino si arrampicò sulla sua gamba e si accovacciò sulle gambe. Il vecchio signore sentì l'odore dolce di latte e sudore del bimbo, sorrise e avvicinò lentamente la mano destra al suo fiato caldo, e strofinò la sua pelle sottile e rugosa contro quella morbida e lanuginosa del nipote. Il bimbo iniziò a ridere come un pazzo per il solletico, e quel suono squillante spremette il cuore del nonno fino a farne sgorgare lacrime invisibili. Gustò quelle lacrime come gocce di miele fino a quando arrivò la madre di quella creatura a rompere l'incantesimo. Decise allora di uscire da solo, senza badanti al seguito, in compagnia del suo bastone e dei suoi pensieri. Tastò l'aria alla sua destra e afferrò lo strumento che lo accompagnava da più di sessant'anni. Si alzò, arrivò alla porta d'ingresso con movimenti meccanici e precisi, afferrò il pomello e uscì nell'aria fresca della primavera. Mentre passeggiava assaggiando il terreno con il suo bastone respirava gli odori malsani della città, intuendo sotto di essi la fragile magia di una violetta cresciuta in una crepa del marciapiede. Si lasciò soggiogare dalle esalazioni esauste di un venditore di frittelle e da quelle succulente di un paninaro. Camminava senza una meta precisa, lasciando che i sensi che gli rimanevano lo guidassero a loro piacimento. Fu così che dopo aver superato l'odore informe e dolciastro di quello che sicuramente era un ristorante cinese udì la sirena di un'ambulanza, e poi un'altra. Sentì rumori metallici e ovattati e annusò un'aria cattiva, che aveva imparato a riconoscere in tutti quegli anni, così come aveva appreso che l''odore degli ospedali non rimane confinato nelle loro mura.
Varcò l'ingresso e le sue gambe lo guidarono verso l'ascensore, come fossero teleguidate. Mentre l'indice destro premeva il bottone del terzo piano capì che stava seguendo un filo sottile tessuto tanto tempo prima, e che inesorabilmente l'aveva condotto fino a quella poltrona, quel bastone, quella mano rigida. Quando le porte dell'ascensore si aprirono sul reparto ostetricia le sue narici si riempirono di un profumo intensissimo, che brillava come una stella su quel paesaggio di disinfettanti e pannolini sporchi. Era un profumo misterioso e unico, e senza esitazione lo seguì fino all'ingresso di una stanza singola. Camminò fino al letto e l'odore di sua moglie lo avvolse totalmente. Era un'essenza saporita, seducente, ma quel giorno c'era qualcosa di diverso, una dolcezza inedita che amplificava la sua magia. Sua moglie afferrò la sua mano destra e la guidò fino alla guancia soffice di loro figlia. – Ha gli occhi azzurri come i tuoi – disse sua moglie, e l'uomo ancora una volta pianse lacrime che non si potevano vedere. Riempì le narici di quell'aroma irripetibile e il filo lo spinse via da quella camera, lo scaraventò fuori. Riconobbe l'odore di erba tagliata e cortecce, e capì di essere sdraiato sul fianco sinistro. Un dolore sordo pulsava dal fianco e l'orecchio destro era intasato da qualcosa di appiccicoso e caldo. Annusò il sangue e il fiato odioso dei ragazzini che l'avevano ridotto in quello stato. Bambocci dalla voce non ancora contaminata dagli ormoni e le ginocchia incrostate di sporcizia. Non poteva vederli ma poteva sentirli, mentre gli strappavano il bastone dalla mano e la protesi dal moncone del braccio. – Con questi affari possiamo farci una partita a golf! Che dici amico? – aveva urlato uno di loro, poi aveva iniziato a picchiarlo con la protesi. E così, nel giorno del suo trentesimo compleanno, l'uomo ricevette come regalo un odio smisurato nei confronti di chi aveva provocato tutto quel male: se stesso. Si rialzò faticosamente da terra e camminò, camminò, aiutandosi con l'unica mano, fino ad arrivare ad un edificio triste, che emanava un odore brutto, plasticoso. L'uomo entrò di corsa, sbattendo le spalle contro i muri, e una voce dura lo rimproverò per il suo ennesimo ritardo. – Non durerai molto se continui di questo passo – gli disse mentre lui si sistemava faticosamente nella sua postazione di lavoro. Un giorno aveva tentato di spiegargli che per lui era molto difficile muoversi in quell'edificio, simile a un grosso labirinto pieno di ostacoli messi apposta per quelli come lui, ma il suo capo non aveva sentito ragioni. – Questi sono solo fatti tuoi – gli aveva detto, ed ora si trovava lì, con le spalle indolenzite e un'auricolare all'orecchio, a fare centinaia di telefonate identiche al giorno, senza soluzione di continuità, senza speranza, fino a quando non calava il sole. Ma ora era già tardi. Si strappò l'auricolare e uscì in strada.
L'odore della notte lo investì, ma c'era qualcos'altro. Rumori di festa e cos'altro ancora? Voltò la testa verso il braccio sinistro e lo vide, intatto, perfetto, con il suo orologio da polso nuovo di zecca. E vedeva tutto il resto: la piazza piena di gente, le luci di Natale brillanti contro il cielo, la bottiglia di spumante, pronta per essere strappata, ben salda nella sua mano destra. In bocca percepiva gusto di vino, lenticchie e panettone. Attorno a lui i suoi amici ridevano a squarciagola e gli dicevano qualcosa, ma un botto fortissimo coprì le loro voci. Lui urlò: – Che hai detto? – e il suo migliore amico, quello che aveva conosciuto all'asilo, vent'anni prima, ripeté la domanda: – Sei pronto per il botto di fine anno? – mentre gli porgeva un candelotto lungo quanto un manganello. Lui lo afferrò meccanicamente con la mano libera, mentre il suo orologio da polso mandava lampi e qualcuno parlava di micce e di secondi e lui non capiva niente, ma non importava, perché era felice, e niente e nessuno poteva rovinare quella festa. E così, a dieci secondi dalla fine del 2010, il ragazzo guardò l'orologio nuovo di zecca, il regalo della sua ragazza, la donna dei suoi sogni, e mentre con la voce scandiva gli scatti della lancetta e il suo amico gridava qualcosa, la miccia che qualcuno aveva acceso prima del tempo si accorciava, e forse avrebbe dovuto ascoltare i suoi amici che urlavano, avrebbe dovuto ascoltare la sua ragazza che si sgolava, ma lui era felice, non sentiva, non vedeva l'ora di stappare la bottiglia e baciare l'amore della sua vita, e ormai non era più questione di secondi, ma di attimi, intervalli lunghissimi e indefinibili, l'attimo dell'orgasmo, l'attimo dello sparo, l'attimo che divide l'argento dall'oro, la scaglia di sole che separa il giorno dalla notte... la luce dal buio. 

8 commenti:

  1. Effettivamente nuovo anno vecchie usanze...

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  2. copio e incollo perché è giusto dirtelo anche di qua:

    Direi molto più che un racconto. La prima parte è poesia. La seconda parte è tragedia. La rabbrividente tragedia dell'imbecillità che ci circonda e rischia d'inghiottirci tutti. Se hai postato poco per lavorare bene a questo pezzo sei più che perdonato, caro amico. :D

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  3. Che faccio? Copio ed incollo anch'io? Posso? Allora, vado:

    Afflati lirici ed il precipitare di drammi intrisi di valenza noir si fondono armoniosamente in costanza di una buona, originale scrittura.

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  4. Ciao, ho letto il tuo racconto sul blog "Il padre dei racconti", e siccome mi è piaciuto, ti scrivo il mio commento che ho lasciato là:

    Mi piace molto il modo in cui è costruito questo racconto, il suo procedere per suoni e immagini fino alla preannunciata tragedia finale...complimenti!

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