domenica 12 dicembre 2010

Obliterazione di coscienza

Lettera della signora Gaia Carata da Lecce, pubblicata oggi da Repubblica.

Caro Augias, giorni fa, dopo l'ecografia alla ventesima settimana, ci viene comunicato che il bambino, desiderato, è affetto da danni al sistema cerebro-spinale "incompatibili con la vita". Può immaginare lo shock e il dolore. Dopo due giornate angosciose - tutti che facevano le condoglianze mentre lui era ancora vivo dentro di me - vengo ricoverata per essere sottoposta a stimolazioni volte a favorire il travaglio ed il parto. Inizia il mio incubo e quello della mia famiglia. Nella struttura tutti gli operatori di ginecologia si dichiarano "obiettori di coscienza" tranne due medici e un'ostetrica. Se mancano loro, gli altri si astengono da qualsiasi azione. Rispetto le azioni altrui e sono fondamentalmente religiosa. Quindi capisco alcune delle motivazioni; non però che questa scelta sconfini nel negare ogni assistenza. Dalla data del ricovero, nessuno dei presunti "obiettori" mi ha rivolto la parola, se non per dirmi che non potevo fare la Comunione, che non avrei potuto battezzare il bambino perché frutto di un aborto (anche se vorrei capire che cosa c'entra il bambino nella mia decisione, peraltro indicata dai medici), che dovevo solo aspettare i medici non obiettori. Quando il travaglio è partito i medici non obiettori non c'erano. Quando la frequenza e intensità delle contrazioni è aumentata ho chiesto a mia madre di chiamare qualcuno. Si sono rifiutati finché mia madre non ha alzato la voce, minacciando denunce penali per mancata assistenza. Finalmente arriva un'ostetrica nella mia stanza, mi visita in malo modo e mi comunica, infastidita, che sono ancora a due centimetri di dilatazione. Dieci minuti dopo il mio Alessandro nasceva, nel letto della camera, davanti a mio marito, mia madre, i miei suoceri e la compagna di stanza sotto shock. Sono confusa e scioccata, piango, li sento parlare di formaldeide, di inceneritore, di scarti organici, e mi sento dire che mi stanno facendo un favore a ripulirmi, perché avrebbero dovuto attendere il medico non obiettore. Grido che sono anch'io un essere umano, che ho solo voluto salvare il mio bambino dalla sofferenza e che il loro mestiere dovrebbe essere di cura ed assistenza, non di giudizio e condanna. Dico anche che scriverò le pene che ho dovuto passare. Di colpo diventano gentili, finalmente mi mandano a casa. Chiedo: se l'obiezione di coscienza è una questione morale, non è immorale abbandonare una donna ad affrontare tutto da sola sopportando angherie e umiliazioni?

C'è da aggiungere qualcosa?

8 commenti:

  1. No... non c'è niente da aggiungere.

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  2. Mi spiace, ma davanti a queste cose non si può non gridare: FANCULO A DIO E A CHI L'HA INVENTATO.
    Obiettori quelli? Sì: obiettori dell'intelligenza e dell'umanità. Andassero a cagare. Possibilmente nel cesso d'una galera.

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  3. Pienamente d'accordo con lo Zio.
    Da infermiere aggiungo: se le ragioni della tua setta vengono prima di quelle del paziente, togli il tuo lurido culo dal servizio pubblico.
    Se un certo tipo di assistenza è garantito dalla legge, non puoi obiettare, punto.

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  4. No, non c'è.
    Tanto dolore e rabbia, e basta.

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  5. Che gran merda...leggere certe storie fa solamente accapponare la pelle. Ma poi che obiettori sono se alla minima minaccia (sacrosanta) di raccontare l'accaduto, di denunciare quest'azione vergognosa, di colpo diventano gentili e premurosi? Nemmeno la coerenza nel loro essere così assurdi...
    Concordo con Web Runner...Il giuramento di Ippocrate poi che fine ha fatto, la coscienza ha obiettato pure quello?

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  6. Zio: hai ragione, quando ci vuole ci vuole.

    Se frugate su questo blog troverete un paio di post che parlano dell'obiezione di coscienza, e troverete che la penso in maniera molto, molto simile al corridore e a Br1...

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