sabato 7 gennaio 2017

Un'epifania

(In letteratura un'epifania è un'improvvisa consapevolezza riguardante il significato della propria vita, in genere scaturita da un episodio o un oggetto particolare.)


La pagina su cui scriveva da diversi minuti continuava a essere bianca. Le parole svanivano pochi istanti dopo essere state impresse, come i buoni propositi scaturiti nella nube etilica di fine anno (voi ve li ricordate?). La sua calligrafia, un tempo minuta e meticolosa, produceva segni incomprensibili oppure leggibili a un livello di conoscenza non accessibile agli uomini, qualcosa di simile alla mitologica lingua madre, precedente alla torre di Babele. Gli occhi azzurri seguivano il tratto con minuzia robotica, acritica, a significare che il senso del suo agire non era altro che l’agire stesso. La sua intera quotidianità era votata al movimento, all’azione. Non passava secondo in cui non richiedesse se ci fosse qualcosa da fare, perché in una mente svuotata e rabboccata con qualcosa di incomprensibile l’immobilità condanna alla non-esistenza.

Il suo linguaggio era regredito fino a raggiungere un livello di astrazione quasi metafisico. Gli oggetti e le persone non avevano più nome, esistevano solo in quanto presenti davanti ai suoi occhi, così che lei potesse indicarli e toccarli, in un continuo processo di scoperta e smarrimento. Mi capitava di immaginarla in riva al mare a tentare di raccogliere l’acqua con un setaccio, instancabile, con quell'incomprensibile barlume negli occhi: era forse confusione, disperazione, indifferenza? Impossibile dirlo per gli umani. Eppure qualcosa in fondo al setaccio rimaneva: lo vedevo luccicare quando arrivava l'uomo che le aveva offerto il braccio per diversi decenni, un attimo prima di sparire nel Nulla, così come vedevo la stanca disperazione negli occhi di lui. C'era qualcosa di potentissimo e terrificante nell'immagine di loro due seduti a conversare, quasi si toccava con mano il tremendo scontro tra bene e male che si stava svolgendo, così violento da fare male agli occhi. Li guardavo commosso e in qualche modo disorientato, perché non serviva nient'altro che quella fotografia per dimostrare a chiunque che c'è sempre qualcosa oltre l'orrore più indicibile.

Ripenso spesso a lei, nonostante abbia conosciuto molti come lei nel corso degli anni successivi, e credo di sapere il perché. Mentre osservavo quella coppia pensavo all'anno in corso – un 2016 ormai lontano – e rimanevo sconvolto nel ritrovare la stessa battaglia che avevo in quel momento davanti agli occhi in ogni cosa: nel panorama che si ammirava dal terrazzo, accendendo la tv, e infine nell'esistenza di ognuno, compresa la mia. Era una rivelazione forse banale, ma quello che più contava era la domanda che ne scaturiva: come sopravvivere a tutto questo?

E la risposta era semplice, priva di parole, custodita nelle mani intrecciate di due anziani, in una promessa senza tempo e più forte di qualsiasi cosa.

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