venerdì 5 giugno 2009

Il Duce


Mia nonna è nata nel 1928. Non ha avuto una vita facile: povertà e tanta fame l'hanno portata a fare i lavori più impensabili. Ha provato la paura più vera, durante la guerra, la paura di morire e di veder morire i suoi genitori e i suoi tanti fratelli. Uno di loro saltò giù dal treno che lo stava portando al campo di sterminio. Era partigiano.
La famiglia di mia nonna era fermamente antifascista, e continua ad esserlo. Mia nonna ha trasmesso, assieme al patrimonio genetico, l'idea che ogni forma di oppressione e regime è Male. Lei l'ha vissuto, ha visto quell'uomo trascinare nelle piazze masse sterminate, prima affascinate dalla sua capacità comunicativa, la sua voce potente, la sua carica rivoluzionaria, poi impaurite, atterrite dalla potenza che loro stesse avevano contribuito a costruire. La soglia tra fascinazione e paura è molto sottile, e il popolo italiano la varcò senza accorgersene.
Il Duce sapeva come creare consenso. Aveva capito che per governare le masse occorre tenere ben salde in una mano le redini dell'informazione, e con l'altra orientare - o meglio, disorientare - l'istruzione. Soltanto in questo modo la gente può credere che i carri armati si arrampicano sui muri come ragni. Soltanto in questo modo battaglie disastrose possono trasformarsi, agli occhi del popolo, in trionfi carichi di gloria. Quando gli italiani si risvegliarono, con un colpo di reni, dal sonno critico in cui si trovavano, era ormai troppo tardi.
Le persone che hanno vissuto quel periodo buio della nostra storia stanno lentamente scomparendo, ma quelle poche che sono rimaste, tra cui mia nonna, si accendono come fari, quando si toccano questi argomenti. Le loro celebrazioni, che agli occhi delle nostre generazioni possono sembrare patetiche rievocazioni di un periodo ormai lontano, sono un patrimonio culturale immenso. Per capirlo basta parlare con uno qualsiasi dei pochi ex-partigiani rimasti. Loro vogliono mantenere il fuoco del ricordo acceso, perché certe cose non succedano più. Sono ottantenni, novantenni, e pensano al futuro, molto più di noi. Capiscono che c'è qualcosa che non va, nell'Italia di oggi. Respirano un clima strano e cattivo, e ne soffrono, più di tutti gli altri. Hanno paura che il fuoco, su cui hanno soffiato instancabili per decenni, si spenga assieme a loro. Hanno un'immensa paura.
Forse è bene che chi andrà a votare rifletta un po' su tutte queste cose. Forse si renderà conto che molti italiani sono ancora disposti a credere ai carri armati che si arrampicano sui muri, e di questo bisogna avere paura.
Molta paura.

2 commenti:

  1. Sinceramente ho letto, con molto interesse, il tuo post. Ma non riesco a "spaventarmi".
    Certamente la nonna ricorda un periodo in cui la libertà era molto limitata e la vita stessa era molto difficile. Ma perchè paventare ancora oggi, nel 2009, un quadro che può ricordare, anche lontanamente, quello del periodo fascista? Voglio dire, insomma, che è bene vivere il nostro tempo e giudicarlo con gli occhi dell'oggi, senza lasciarci irretire troppo dai ricordi. Badando bene a non dimenticare gli errori del passato, che ci servono per migliorarci, ma al contempo a non assegnare loro un ruolo troppo importante.
    Concretamente, dopo le elezioni, se Berlusconi avesse ricevuto un largo consenso, ritengo che questo debba essere interpretato, con gli occhi dell'oggi, come la capacità della persona e del partito di intercettare i consensi. E, al contempo, lo sconfitto deve fare tesoro del risultato che lo vede perdente per ripensare la sua politica. Credo che solo interpretando così il voto popolare si renda un giusto servizio alla popolazione e alla politica: perchè il voto altro non è che un giudizio ai partiti, un barometro che misura la capacità (talora non sempre in maniera corretta, si potrebbe dire) del governante di risolvere i problemi.
    Ma penso ne riparleremo tra poche ore, con i risultati alla mano, sebbene questa sia la mia idea.

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  2. Quello che dici può essere vero, ma non si può non evidenziare la "particolarità" italiana di un capo di governo che ha in mano, per vie dirette o traverse, la maggior parte della televisione. Questo è un fatto, non è un'opinione "di sinistra". In ogni telegiornale il presidente del consiglio compare o viene citato in media una decina di volte, nelle notizie economiche, politiche e sportive, e questa tendenza, durante la campagna elettorale, si è evidenziata ancora di più. Io credo che in queste condizioni il voto non possa essere, come dici tu, un giudizio ai partiti, ma una valutazione meno lucida, in cui le persone con meno strumenti critici possono essere facilmente influenzate.

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