giovedì 14 luglio 2016

Birra, parte 2

Mentre stappi la seconda bottiglia pensi alla notte appena passata. Il rumore delle costole che si incrinano sotto le tue mani ti attraversa il cervello come la scheggia rovente di una granata. Un grosso ematoma si sta allargando sui fianchi della signora che cerchi di trattenere in questo mondo, pur sapendo che lei molto probabilmente non vuole essere trattenuta. Ha ottantotto anni, le stavi prescrivendo gli antibiotici per una polmonite quando il suo cuore ha deciso di prendere congedo. Il tuo collega dell'ambulanza ha pensato all'istante, senza nemmeno guardare la paziente, di far intervenire l'elisoccorso. E l'esercito no? gli hai detto con lo sguardo, ma a quel punto il padrone della situazione era lui. E ora sei qui, ad allungare di poche decine di battiti la vita di un corpo sfinito con la consapevolezza di eseguire niente più che un banale esercizio. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto nove, DIECI. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, VENTI, con Stayin' Alive dei Bee Gees a risuonare in un angolino del cervello. Il ritmo giusto è quello, ti hanno detto un po' di tempo fa. Si muore e si vive al ritmo di un pezzo disco.

La seconda birra sta finendo troppo velocemente.

È stato il medico dell'elisoccorso a comunicare il decesso della signora ai parenti. Tu sei madido di sudore e ti senti a disagio, alienato. Hai l'impressione che tutti ti stiano guardando, anche se non è vero. Riassumi l'accaduto nella tua mente ed è come ricostruire un vaso andato in mille pezzi. Manca sempre un frammento, sicuramente minuscolo ma che è bastato a far uscire quel poco di esistenza che rimaneva alla signora. È umano, è naturale, è terribile. All'improvviso vorresti scappare e qui, ora, vorresti scagliare contro un muro questa bottiglia per provare a rimetterla insieme. Come quella volta, tanti anni fa, in cui toccasti una bottiglia d'acqua e quella si disintegrò, inondando il piano di marmo della cucina di casa tua. A ripensarci fu un momento esaltante nella sua assurdità: per una frazione di secondo ti sentisti un supereroe, appena prima di dover affrontare lo sguardo sconcertato di tua madre che chiedeva spiegazioni. E come puoi raccontare un evento così imponderabile? Qualcosa, inevitabilmente, sfugge sempre.

Così ora, mentre osservi il fondo del boccale ormai vuoto, cerchi di recuperare tutti i tasselli, anche quelli invisibili, fino al momento in cui ritrovi la chiave di volta, l'elemento centrale che sfugge sempre perché sei tu a non volerlo trovare... se non quando una gradevole ebbrezza abbatte le sovrastrutture e arriva alla verità. Quella che non si può dire, quella che farebbe inorridire il tuo amico più caro o tua madre se decidessi di rivelarla in un guizzo di follia, che attirerebbe gli insulti, se non peggio, dei tuoi colleghi per la sua inammissibilità. Ma è la verità, e sei certo che a grattare la superficie convenzionale con cui tutti quanti si ricoprono e si proteggono si arriverebbe sempre alla stessa soluzione, alla stessa, terribile spiegazione.

La terza bottiglia ti sta chiamando. Ormai non puoi più resisterle.

1 commento:

  1. ...il collega dell’ambulanza ti guarda e si chiede con stupore quale sia il motivo per cui, dopo aver curato la tua paziente con tanta dedizione, tu voglia lasciare a lui, uno sconosciuto, l’incombenza di chiuderle gli occhi...ma subito dopo si rende conto che “qualcosa inevitabilmente, sfugge sempre...” e fa quel che deve, senza giudicare

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