martedì 23 aprile 2013

Tutto è bene quel che finisce bene

I copyright del titolo sono dell'onorevole Vaccaro, che sabato ha espresso così la sua gioia per la rielezione di Napolitano. Dopo aver assistito all'assemblea indetta dal Pd biellese per parlare di quel che è successo mi è subito tornata in mente questa frase, perché secondo me riassume alla perfezione il problema di tutti i problemi.
La sala era piena. Tanti personaggi noti ma soprattutto moltissimi elettori non tesserati, tra cui il sottoscritto, erano lì per ascoltare ma soprattutto per farsi sentire, ora che un tappo è definitivamente saltato e nessuno, ripeto nessuno, può più arrogarsi il diritto di spiegare come vanno le cose dall'alto della sua esperienza a te, pivellino che non capisci le complesse elucubrazioni che stanno dietro a una decisione politica, ora che tutto il peggio che poteva capitare è capitato e continuerà a farlo ancora per un po', la gente che ha votato chiede il conto. La gente che per l'ennesima volta ha dato fiducia a chi non l'ha meritata a questo giro non si limita a scrollare le spalle, non questa volta, quando dentro una stanza dalle mura trasparenti grazie al web si è deciso deliberatamente di non ascoltare. Non questa volta, perché in diretta si è svolta la dimostrazione di un teorema che con fatica durante la campagna elettorale e non solo si cerca di smontare: che alla fine sono tutti uguali, destra sinistra centro, tutti disposti a chiudersi ancor di più a riccio di fronte alla più pressante richiesta di cambiamento da vent'anni a questa parte. Quasi tutti hanno ribadito lo sconforto di fronte alle telefonate, gli sms e le mail rabbiose a cui non sanno rispondere, quasi tutti hanno marcato la differenza tra il "noi" delle sezioni di periferia, quelle in cui si organizzano cene alla buona per tirar su qualche soldo, quelle in cui a turno si gira per tenere la sede aperta, quelle in cui nessuno tiene gli scontrini del gasolio consumato per saltare da una riunione all'altra, e il "loro" della dirigenza, quelli che passano da una legislatura all'altra dribblando la trombatura più spietata svicolando per sottosegretariati, fondazioni, commissioni per "dare un contributo al partito". La dirigenza che ancora adesso va in televisione a spiegare i massimi sistemi con quell'espressione stizzita da devo-spiegarvelo-ancora-una-volta-idioti e sapendo di dire una marea di cazzate, perché a questo punto nemmeno il più ingenuo può più pensare a banali errori di valutazione. Qualcuno ha voluto che finisse così, qualcuno che sa già di non poter più chiedere un altro giro di giostra. Quindi vediamo di farlo durare il più possibile questo giro. Non è abbastanza evidente?
Quindi liberi tutti ora, e tutti d'accordo nel dire che questa classe dirigente va decapitata. Dopodiché bisogna passare alla fase costruttiva, o meglio, ricostruttiva, ed è qui, secondo me, che salta fuori il vero problema, quello che marcherà la differenza tra successo e fallimento.
Tutti gli interventi avevano parti condivisibili e altre meno, ma la differenza tra alcuni discorsi e altri che mi è saltata agli occhi è la concezione del partito. Si è parlato di cambiare le regole, perché è inconcepibile che una decisione presa a maggioranza non sia poi rispettata. Ecco, secondo il mio modestissimo parere, questa è un'idea di partito che non ha più senso. È anacronistico parlare di regole. Il Pd è pieno di regole, come lo erano Ds, Pds e Pci. Parlare di regole significa non capire cosa sta succedendo nel mondo. Non capire che c'è Twitter.
Un oratore nel suo intervento ha buttato lì una frase sarcastica sui social, qualcosa del genere: si andasse meno dietro a Twitter... Non dubito della buona fede, ma non capire che questo sprezzo fa parte del problema, è un'enorme problema. Non capire che i nuovi mezzi di comunicazione hanno trasformato qualsiasi cosa, compreso il modo di concepire la politica e la partecipazione, renderà inutile qualsiasi tentativo di cambiamento. Se non ci fosse stato Twitter probabilmente a quest'ora ci ritroveremmo Marini Presidente della Repubblica. Dissidi interni ripianati nel buio delle stanze in pieno Pci-style. Sarebbe stato un successo?
Come si può ignorare che il sito di Civati in questi giorni è andato in tilt un paio di volte per i troppi accessi? Si parla di milioni di accessi, milioni di persone che vogliono sapere, vogliono partecipare, e vogliono avere lo spazio per farlo. Come si può liquidare la rabbia espressa in tutti i mezzi come un inutile fastidio? Come si fa a pensare una cosa del genere quando la sinistra vive – ha vissuto – di piazze, raduni spettacolari e quasi sempre autoconsolatori o autocelebrativi, con il segretario di turno che arringava la solita folla, con le solite parole, sempre uguali a se stesse anno dopo anno? Come si fa a non capire che un sacco di gente, vuole – vorrebbe – semplicemente avere la sensazione di essere ascoltata? Chi in questi anni ha coltivato questa idea aperta, anzi apertissima, di partito ha visto crescere i propri consensi e anche in questo bordello ha mantenuto intatta la sua credibilità, e anzi si è accresciuta, semplicemente parlando in modo limpido e soprattutto dialogando con chi alla fine poi mette la x sulla scheda. È un caso? È tutta una grande illusione? O forse sono quelli come il caro onorevole Vaccaro ad avere le traveggole?
Forse è meglio lasciar perdere infinite seghe mentali su regole e statuti. Forse è meglio iniziare chiedersi senza preconcetti cosa debba essere nel 2013 un partito che voglia dare voce al cambiamento, una voce che suona fortissima e chiarissima ma la cui lingua sembra ancora sconosciuta a gran parte del Pd (o perlomeno, a quel che ne resta).
 

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