martedì 30 agosto 2011

Bancarotta

Mi alzai alle sette come tutti i giorni, e fin dal primo momento in cui aprii gli occhi percepii qualcosa di strano. La finestra aperta lasciava passare un filo d'aria e un vuoto indecifrabile. Mi affacciai e vidi la strada e i marciapiedi invasi da persone in giacca e cravatta che correvano di qua e di là, le facce nascoste dietro ai quotidiani aperti. Qualcuno particolarmente assorto passeggiava sulla carreggiata vuota, disegnando cerchi ossessivi in mezzo all'incrocio. Altri ancora camminavano avanti e indietro controllando continuamente l'orologio, come se stessero aspettando qualcosa. Di tanto in tanto controllavano il cellulare, prima di ficcarlo in tasca scuotendo la testa. Le poche auto procedevano a passo d'uomo a colpi di clacson. Ma che è, hanno trasferito Piazza Affari sotto casa mia? mi sono chiesto. Mentre i colletti bianchi continuavano il loro incomprensibile balletto una sirena ruppe il brusio, accompagnata da furibondi clacson. Evidentemente i broker (chissà se lo erano davvero?) non intasavano solamente l'incrocio sotto casa mia. Con molte difficoltà l'ambulanza raggiunse la clinica che sta a due passi da me, e nel giro di pochi minuti ne arrivarono altre due. Chissà, forse era successo qualcosa all'ospedale centrale, e quindi tutte le ambulanze venivano dirottate verso le altre cliniche. A quel punto volevo capire il motivo di tanto scompiglio.
Accesi il computer e con molta lentezza (rete intasata? E che palle) sulla homepage di tutti i quotidiani online vidi campeggiare un'unica, enorme, terrorizzante scritta: “LA BANCAROTTA DELLA SVIZZERA”. A quanto pare i nostri vicini avevano qualche problema sotto il tappeto che per una strana congiuntura astrale aveva deciso di saltare fuori proprio quel giorno. Iniziai a scorrere con molta disattenzione l'articolo mentre nel mio cervello faceva capolino una domanda: ecchissenefrega? Ma impiegai poco a capire.
Era semplice: per appianare il debito il Parlamento svizzero aveva approvato, con un provvedimento senza precedenti, un prelievo forzoso del dieci per mille da tutti i conti correnti bancari. La legge sarebbe entrata in vigore a partire dal giorno dopo.
In pratica, i riccastri di tutto il mondo erano in preda al panico. Dalla rete intasata riuscii a carpire immagini di aeroporti e stazioni presi d'assalto, richieste disperate di passaggi in aereo su Twitter e su Facebook di chi era rimasto a piedi e, povero lui, non poteva disporre di un volo privato – e l'Audi Q7, in una strada bloccata, non può sfogare appieno tutta la sua potenza. Mi scollegai alla rete quasi inservibile e decisi di fare una passeggiata. La notizia era ormai di dominio pubblico. Vidi un bel po' di attività chiuse: studi medici e legali, gioiellerie, boutique, ma anche fruttivendoli, edicole, autofficine. Vedevo gente andare in giro con cartelli del tipo “cerco volo charter per Zurigo: pago bene” e altri sdraiarsi di fronte ai taxi pieni, implorandoli di scarrozzarli fino alla stazione. Il caos era incredibile. Altri come me osservavano la scena sbigottiti, con il sorriso sulle labbra ma con una furiosa domanda che lampeggiava nei loro occhi: quanti cazzo di ricconi ci sono in Italia? Da dove sono spuntati?
La stazione era un autentico delirio: pregavano in ginocchio per un biglietto, tiravano fuori il libretto degli assegni: “Le do quanto vuole”, sventolavano carte di credito di ogni tipo, chiedevano di parlare con i responsabili, qualcuno urlava: “Compro la stazione! Compro tutti i biglietti!”, mentre dietro a lui la coda era un concerto di suonerie polifoniche e balbettii nervosi agli auricolari. Me ne andai prima che iniziasse qualche rissa.
A metà mattinata la rete era inaccessibile. I telegiornali parlavano di svariati infarti, mancamenti, momenti di tensione, bollini neri sulle strade italiane eccetera eccetera. Le operazioni bancarie di trasferimento verso altri lidi felici procedevano a fatica e molte di esse, chissà perché, passavano dall'Italia e lasciavano delle tracce. E alcune si fermavano a causa di strani cavilli procedurali. “Si tratta del più massiccio rientro di capitali della storia italiana”, dicevano. E senza scudi fiscali, aggiungevo io.

Il giorno dopo spuntò un messaggio su internet. Un tizio di spalle diceva di essere penetrato nella rete svizzera e di aver taroccato i dati economici per scatenare il putiferio, e poi di aver fatto in modo che tutte le operazioni passassero dall'Italia, lasciando il resto del lavoro alla burocrazia. “I soldi vanno presi a chi ce li ha, e soprattutto a chi ce li ha e fa finta di non averli. Chi ci governa, per paura e per convenienza, non l'avrebbe mai fatto: l'ho fatto io al posto loro”. I media si fiondarono come bestie sull'hacker senza nome, sperarono con tutto il cuore in una sua ricomparsa, ma svanì nel nulla. La polizia postale non scoprì mai la sua identità, e mai si capì se fosse tutto vero o solamente la piazzata di un megalomane in cerca di un quarto d'ora di celebrità. Ma ormai danno era fatto, i soldi rientrati erano tanti e splendenti alla luce del sole. Quindi a me, caro hacker, non frega niente se sei stato tu. Nel tal caso, ti ringrazio con tutto il cuore. Se non sei stato tu, grazie comunque per le tue parole. Sono cibo per gli onesti.

5 commenti:

  1. Bella trama per un film catastrofico-finanziario, anche se, nella realtà, prima di fallire la Svizzera in paesi come il nostro rimarrebbero solo rovine, cenere e pantegane, quindi problemi di rientri di capitali QUI nel decimo mondo non se ne porrebbero più...

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  2. Ma guarda un po' questo dannato hacker cosa si è permesso di fare! Prendersi gioco della gente perbene! Invece di lavorare...

    Bel racconto :-)
    Carmine

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  3. per me è stato tremonti che lo ha fatto per far cagare addosso Silviuccio e trasformare come lui dice questo paese in un "paese di merda"... ma non c'è riuscito.

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