lunedì 24 gennaio 2011

Prossimamente

La folla in marcia verso il palazzo era sterminata. Procedeva lentamente, prendeva tutto il tempo necessario per lievitare, espandersi, raccogliere nel suo ventre colorato chiunque incontrasse. La gente impugnava di tutto: tacchi a spillo, ventiquattrore, mazze da baseball, pistole ad acqua, fucili a pompa, molotov, giornali appallottolati, telecomandi, coltelli da cucina. Armi cariche di furia e disperazione.
Il corteo era silenzioso, lugubre, le sopracciglia arricciate a scavare una ruga nera e profonda che accomunava ogni volto, da quello giovane e brufoloso di sedici anni al più vecchio, un viso di novant'anni segnato e rugoso come una corteccia. In mezzo a loro impiegati, poliziotti, guardie del corpo, due o tre operai, casalinghe con i mestoli in mano, negozianti, clandestini, stagisti, avvocati, militari, giudici, medici, becchini, macellai, disoccupati, insegnanti, casellanti, musicisti, studenti, ballerini, elettricisti, più un migliaio di altre professioni. C'erano proprio tutte, anche le statue viventi. Giacche, cravatte, occhiali da saldatore, stivali da pescatore, tutti impastati in una falange compatta, risoluta a raggiungere l'obiettivo: ribaltarlo, scalzarlo dalle sue altissime scarpe, strappargli quell'orrenda parrucca d'asfalto, liberare il mondo dalla sua follia, ormai manifestatasi nella sua forma più grottesca.
Non c'era stata nessuna chiamata alle armi. Quel mattino la rabbia era esplosa improvvisamente, senza il bisogno di ulteriore sdegno per alimentarla. Dopo decenni di quiescenza si era accesa, e non poteva più essere arrestata. La gente era scesa in strada, ognuno con il proprio "basta" lampeggiante negli occhi, ed era partita.
C'era sacralità nel loro movimento. I passi risuonavano, inesorabili, verso qualcosa che non erano mai riusciti a raggiungere, timorosi, distratti, accecati. Ma tutte le soglie erano state superate, e l'esplosione era stata il culmine fisiologico a cui, prima o poi, si doveva giungere. E adesso, nel corteo che sembrava infinito, il pensiero di tutti quegli anni sprecati rimbombava e acuiva il furore.
Mancavano poche svolte al palazzo. Camminavano verso il sole e verso la battaglia. Erano pronti a sputare sangue, contro l'esercito del padrone. Uomini alti, ben vestiti, mascherati dietro occhiali scuri. Erano gli uomini di cui amava circondarsi, chiamati per una volta a fare qualcosa di più di una scenografica sfilata a favore delle telecamere.
Ma il corteo trovò qualcun altro ad aspettarli.
Si fermò, in preda alla confusione. Gli occhi schizzarono a destra e a sinistra, in cerca di risposte e trovando solo smarrimento. Qualcuno pensò ad uno scherzo, ma bastava osservare i volti dei loro avversari per capire che non c'era nulla, nulla di cui ridere. Non capivano, eppure era così ovvio.
A difendere il palazzo il corteo trovò un enorme specchio. Vedevano i loro stessi volti, i loro stessi vestiti, le medesime, raffazzonate armi. Era uno specchio vivente, uguale e contrario a loro, e avrebbero dovuto infrangerlo, per detronizzare finalmente il mostriciattolo.
E fu quello che fecero, dopo lo sconcerto iniziale. Troppa era la rabbia. Ma dopo pochi minuti lo scontro divenne caos. Gli schieramenti si mischiarono, nessuno riconobbe più alleati e nemici, e la sopravvivenza divenne l'unica priorità. Fucili e pistole sventagliavano alla cieca, e alla fine, in quell'indistinto bagno di sangue, i pochi superstiti si azzannarono a vicenda. Il vincitore alzò il fucile in segno di vittoria, ma non ricordava più nulla. Stava per andarsene quando le porte del palazzo si aprirono. Il padrone accolse il sopravvissuto con tutti gli onori, e non occorse nient'altro. Importava forse qualcosa il motivo che aveva spinto quell'uomo a combattere? Ora stava lì, al suo cospetto, dimentico del suo passato, pronto a servirlo come tutti gli altri, prima e dopo di lui. E chissà, forse un giorno sarebbe stato quel giovane battagliero a prendere il suo posto, ad indossare quella maschera che il popolo odiava ma di cui il popolo non riusciva fare a meno. Un giorno il padrone sarebbe morto, ma il popolo l'avrebbe fatto vivere in eterno.
Il padrone sorrise.

12 commenti:

  1. Dovrò ricordarmi di questo, quando voterò per il miglior post del 2011.

    In piedi, silenzioso.

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  2. Bello, questo, davvero. Geniale la faccenda dello specchio. Personalmente io l'avrei fatto finire diversamente. Il corteo si vedeva riflesso nello specchio, capiva di non potercela fare e si disperdeva, rinunciando a infrangerlo.

    [P.S. Non c'entra niente con il post. Voglio solo unirmi alla mozione di Zio Scriba per l'abolizione del "captcha"!]

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  3. Il popolo contro il popolo.
    Mi piace, malgrado abbia studiato Marx in quantità industriali.

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  4. Lucidità e molti timori ritrovo, in questo scenario immaginato.
    Diamoci da fare perchè questa fine non si realizzi come una profezia.

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  5. Appunto, mica sarà una profezia come nel tuo ultimo post? no, perché mi sembra che ci siamo vicini.
    Comunque viverrimi complimenti.

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  6. mamma mia… racconto del terrore/realtà! Anche se non realizzata questa è la battaglia più inumana mai immaginata! :(

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  7. Spettacolosamente bello, disperatamente ESATTO.
    Bravo, Ale!

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  8. Bello e triste come finale. La maschera mi ricorda Pirandello ma il finale mi ricorda proprio noi italiani!

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  9. Che altro aggiungere se non i complimenti!

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  10. @Silas: uso parole tue: non esagerare con i complimenti, altrimenti con ci credo più! :-)))))
    @Marziano: per il finale sono stato indeciso fino alla fine, ma credo di aver scelto quello più calzante, pensando alla storia italiana. In fondo l'Italia ha impiegato solo cinquant'anni per sostituire Mussolini con Berlusconi...
    Non mi ero mai preoccupato di togliere quella roba. Quando me l'hai fatto notare l'ho fatto subito!
    @Mr. Tambourine: eh, credo che Marx sia stato troppo ottimista, riguardo alla coscienza della classe operaia...
    @Ross: sarà dura, ma non si può mollare...
    @petrolio: il problema è che credo che, in un certo senso, si stia già verificando...
    @Zio: grazie, carissimo!
    @Inneres: tutti i dittatori sono maschere...
    @Ernest: troppo, troppo gentile!

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  11. Bello, mi è piaciuto!
    Stavo per abbandonare la lettura ma ... pian pianino ho letto tutto! Per fortuna.
    Concordo con la "morale della favola" che è, purtroppo, sempre la stessa.
    Sembra proprio che l'essere umano non ce la possa fare a divincolarsi da questo dualismo senza scampo tiranno-suddito che ha scandito il tempo della storia.
    L'uomo, che ha paura della morte, ha paura dell'ignoto e non intraprende mai il viaggio all'interno di se stesso fatto di tante domande e poche risposte. Non consegue mai la consapevolezza.
    Per paura di scoprire l'inutilità dell'esistenza l'uomo si impone sempre uno scopo, qualcosa da fare, che impegni il cervello, deve sempre crearsi un Dio, un re, un papa. Qualcuno da seguire e che si occupi di tutto. In cambio cede ogni diritto al sovrano.
    Insomma è sempre la stessa storia.
    Ne convengo.
    Domani verrò a rileggere il post. Ciao.

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