martedì 6 settembre 2011

Chiuso

La corrente elettrica si fermò in un giorno di fine settembre uguale a tanti altri. A quanto pare i fornitori esteri di energia fotovoltaica si erano stancati di battere cassa e dopo quasi un anno di insolvenza avevano chiuso i rubinetti facendo ciao ciao con la manina. Tutte le televisioni d'Italia si spensero all'unisono, i frigoriferi smisero di raffreddare, i respiratori artificiali rimasero in apnea e non ripartirono. In quel giorno di fine settembre soltanto i mezzi alimentati con la cara vecchia benzina si muovevano come se niente fosse nelle strade prive di vita, ma ne erano rimasti pochi: grossi scatoloni di metallo senza pilota che trasportavano cibo in scatola a chi era rimasto senza lavoro, più del 50% della popolazione. Quel provvedimento, deciso tanti anni prima, aveva sedato anche gli animi più ribelli, e da quel momento più della metà del popolo non faceva altro che aspettare la fornitura quotidiana di alimenti fasulli, chiuso nella propria scatola di cemento. Il lunedì gustavano granchio artificiale. Il martedì polpette finte. Il mercoledì zuppa di fagioli in poliestere. In tv i politici parlavano.
Il giorno in cui si spense tutto qualcuno protestava online: era stufo del granchio artificiale il lunedì, voleva qualcosa di più fresco e gustoso. Dobbiamo farci sentire, facciamo una raccolta firme. Avevano già raccolto trentamila nomi quando la rete morì, lasciando milioni di computer alla ricerca affannosa di una connessione. Miriadi di dita batterono all'unisono sulle tastiere di portatili con la batteria quasi scarica per tentare di salvare quella preziosissima richiesta di cambiamento. Tutto inutile: il panico agì con la rapidità di un gas nervino. Qualcuno ci rimase secco, altri furono attanagliati dall'ansia, mentre altri ancora formularono un pensiero nuovo: esco.
Fu una gran fatica alzarsi dalla sedia: anni e anni di scatolette li avevano resi grassi e squadrati. Mani grassocce strinsero pomelli immacolati e aprirono porte polverose. Sulle strade senza marciapiedi si affacciò così una folla di uomini e donne deformi, simili a zampettanti cubi obesi, che dopo lo stordimento iniziale iniziò a camminare a fatica verso il Parlamento, il posto da cui i politici parlavano. Il sole grigiastro feriva gli occhi disabituati alla luce e l'aria spessa entrava a fatica nei polmoni, ma erano risoluti a protestare per quel vergognoso blackout. Volevano giustizia, volevano i quiz preserali e soprattutto volevano salvare la raccolta firme.
Ben presto si resero conto di non sapere dove stessero andando. Qualcuno tirò fuori un cellulare e tentò di collegarsi a Google Maps, prima di ricordarsi il motivo per cui erano usciti. Ma la provvidenza li aiutò, e dopo un paio d'ore di cammino senza meta videro la maestosa sede del Parlamento. Nonostante la fatica accelerarono il passo e ben presto giunsero davanti all'ingresso. Quando si fermarono il silenzio fu assoluto.
Davanti al portone non c'era nessuno. Le pesanti maniglie erano ricoperte di ragnatele, le finestre del palazzo sfondate. Non c'era traccia di forze dell'ordine, picchetti di giornalisti, guardie del corpo e di tutto quel trambusto che vedevano alla televisione o in rete. Uno di loro si fece avanti e bussò: TOOC, TOOC, un suono che sembrò rimbombare all'infinito. - C'È QUALCUNO?? - urlò, e nessuno rispose.
Lì non c'era anima viva, ma nessuno si fece domande. Nella folla regnava uno sbigottimento informe, decerebrato. - E adesso? - gridò qualcuno. Nessuno rispose, ancora una volta.
Poi qualcuno gridò. Un tizio sudaticcio prese a saltare nella ressa. - Prende, prende! - sbraitava. Sul display del suo smartphone era appena comparsa una tacca di ricezione. Sopra di loro un lampione si accese, e illuminò di felicità il corteo. Dopo infiniti baci, abbracci e canti di gioia girarono i tacchi e tornarono sulle loro sedie davanti ai monitor. C'era del lavoro arretrato da fare, era in gioco la libertà di tutti: pretendere qualcosa di meglio del granchio artificiale era un loro, sacrosanto diritto.
Dal telegiornale della sera il simulacro 3D di una presentatrice spiegò con voce robotica che il blackout era dovuto a un "malinteso con i fornitori". Nessuno si fece domande, tutti si limitarono ad annuire con la testa, la bocca piena di polpette in scatola: quelle sì che erano davvero buone.

4 commenti:

  1. Inquietante e affascinante.
    Ti dirò che per un momento ho creduto che quel Settembre fosse QUESTO Settembre, che quel blackout fosse un prossimo blackout, dovuto al fallimento del Paese...

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  2. acc... avrei dovuto leggere solo il tuo ottimo e inquieante racconto, invece ho voluto farmi del male ascoltando i cervelletti del meeting intervistati lassù... brrrrrrrrr!!!!

    (ma forse andrebbe visto come un film comico: quella che dice di non avere preclusioni, perché ha ADDIRITTURA un'amica dell'azione cattolica - neanche avesse detto dell'unione atei razionalisti! - sembra una battuta alla Benigni...)

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  3. Lo spunto è partito dall'idea di un Parlamento chiuso e abbandonato e da un paese che procede per inerzia, quindi in realtà, più che un possibile futuro, potrebbe essere una metafora dell'Italia di oggi... Detto questo, speriamo davvero che non accada, ma sta a noi.

    Zio: "E tutto il discorso di CL legato alla castità?" "Che cos'è la castità?"
    E poi: "Seguendo e obbendendo a quello che ho davanti è molto più facile vivere". This is Italy.

    Grazie a tutti per i complimenti, come sempre...

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Rispettate le regole del buonsenso e della civiltà, e una firma non guasta mai. Nascondersi dietro ad un "anonimo" è solo un modo per non prendersi la responsabilità di ciò che si dice.