giovedì 24 giugno 2010

Comunque andrà, sarà una sconfitta

No, non mi riferisco alla partita dell'Italia, argomento a cui lo stivale sembra appeso come la bava alla bocca di un cavallo, fondamentale momento nazional-popolare che, a leggere i titoli che si accavallano in tv e sui giornali, determinerà il destino ultimo del nostro disgraziato paese. Naturalmente mi sto riferendo a ben altra partita, anche se chiamarla partita è farle un grosso complimento. Perché non c'è nulla di sportivo nel desolante duello che si sta combattendo a Pomigliano, un duello che in qualche modo finirà, ma che in ogni caso farà a brandelli quell'insieme di idee, valori, regole che i vecchi tromboni (tra cui il sottoscritto) mettono assieme nel grande edificio dei "diritti del lavoro", un edificio che si sta sgretolando, scossone dopo scossone, da parecchio tempo, ma che crolla definitivamente sotto il colpo mortale di un referendum, uno dei massimi strumenti di esercizio dei diritti. Grottesco, ma sta succedendo. E sta succedendo nel silenzio, o nell'indifferenza, o nella rassegnazione, quasi totale. In un'Italia che perde pezzi ogni giorno, nonostante qualcuno proclami che siamo i più ricchi d'Europa, in un'Italia ormai assuefatta al marcio che pervade ogni ambito della vita di ognuno, accettato come un destino inesorabile, suona quasi normale che una grande azienda chieda ai suoi dipendenti di mettere da parte alcuni diritti sacrosanti. La crisi è una guerra, e in guerra vige la legge marziale, che non prevede libertà di sorta. In questo contesto l'idea di indire un referendum tra i lavoratori può sembrare uno straordinario esempio di democrazia. La maggioranza decide, la minoranza si adegua. Qualcosa da ridire?
Invece è l'esatto contrario. Questo referendum è uno strumento rivoltante, uno sputo sulla dignità del lavoro, ed in generale una luminosa dimostrazione di quanto sia scivolato in basso il nostro paese. Forse sono l'unico, o uno dei pochi, a vedere la ghigliottina che questa votazione calerà sui diritti del lavoro acquisiti in Italia, ma mi chiedo davvero come si possa non vederlo, come si possa rimanere impassibili a questa guerra che la Fiat ha scatenato non con i suoi dipendenti, ma tra i suoi dipendenti. Da una parte i buoni, la maggioranza, quelli che vogliono lavorare; dall'altra i cattivi, quelli della Fiom, quelli che vogliono scioperare. Questa è la scacchiera disposta da Marchionne. Elementare ed efficace: volete lavorare o no? Come se quelli della Fiom fossero dei pazzi, come se quelli della Fiom non si rendessero conto che ne va del loro futuro. Ma forse il problema è tutto qui: quelli della Fiom guardano troppo avanti, riescono a scorgere le conseguenze devastanti di un accordo del genere, riescono a scorgere un futuro che non sia il loro, ma di chi verrà dopo di loro. In un'Italia senza futuro, personaggi del genere non hanno più senso di esistere. Vanno isolati, resecati, si dialoga con chi è d'accordo, con chi è talmente disperato ed ottuso (o entrambe le cose) da non vedere nient'altro che il giorno dopo, con chi è disposto a trasformarsi in un piccolo e silenzioso operaio cinese, un pezzo di carne che produce pezzi di automobile.
Può sembrare una visione catastrofica, ma purtroppo non lo è. Ma se è difficile scorgere un futuro per questa Italia, d'altra parte è consolante scorgere qui e là frammenti di un'Italia che non smette e non smetterà mai di cercarlo, e non perderà occasione di tentare di costruirlo con le proprie mani.

2 commenti:

  1. A me hanno colpito le arole di Marchionne secondo cui lo sciopero è stato fatto per vedere la partita della nazionale: secondo lui gli operai che son quasi dei 'morti di fame' possono permettersi di non lavorare per una partita?
    Questo possono farlo i politici o i magnaccia come lui..

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  2. Marchionne ha insultato la dignità umana!

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Rispettate le regole del buonsenso e della civiltà, e una firma non guasta mai. Nascondersi dietro ad un "anonimo" è solo un modo per non prendersi la responsabilità di ciò che si dice.