martedì 16 marzo 2010

Un disco da isola deserta


Spiegare perché Remain in Light dei Talking Heads sia uno dei dischi più importanti della storia della musica, un disco che, fossi costretto a scegliere tra dieci da portare in un'isola deserta, rientrerebbe sicuramente nel podio, è una bella grana. Perché questa band non si impegna per nulla, a farsi piacere. La copertina è oggettivamente inguardabile, e ad introdurre gli impavidi che riescano a superarne la repulsione, troviamo una selva di suoni in preda all'anarchia, con batteria, basso e chitarra che sparano scombinate scintille sonore, su cui si arrampica la voce sgangherata e declamante del leader David Byrne. Tutto questo è Born under Punches, la traccia introduttiva, e una volta arrivati alla fine di questi sei minuti inspiegabili, la domanda che ci si pone è: "Cosa ho ascoltato?".
Andando avanti la situazione non migliora. Remain in Light cambia faccia ad ogni canzone, scivola in una notte fredda ed agitata (The Overload), ma l'ascoltatore non se ne accorge, troppo preso a cogliere le mille sfaccettature che ogni pezzo produce: dopo decine di ascolti non sono ancora riuscito a decifrare l'impressionante gioco di rimbalzi vocali in The Great Curve, il terzo pezzo. Non è solo questione di ottima produzione (e d'altra parte, con uno come Brian Eno vai sul sicuro), perché questo disco, all'apparenza un guazzabuglio inestricabile di sonorità innovative, rileva, ascolto dopo ascolto, una compattezza ed un'abilità compositiva fuori dal comune. Dal caos emerge magicamente l'ordine, un cui tutto sta dove deve stare, compresi gli stralunatissimi versi di Byrne. Spuntano linee melodiche che mai ci saremmo aspettati. Ecco allora che Remain in Light diventa un'opera geniale, in cui strumenti vecchi e nuovi danno vita ad un nuovo tipo di musica, folle, schizzatissima, ma perfettamente coerente e compiuta. E soprattutto, un disco che, a trent'anni dalla sua uscita, dà lezioni di modernità a quasi tutta la musica contemporanea.
Mi rendo conto di non aver dato un'idea molto chiara di questo disco, ma è impossibile avere le idee chiare, quando si parla di Remain in Light. L'unica cosa da fare è ascoltarlo, con pazienza. La voglia di cambiare musica sarà forte, all'inizio, ma quando la sua bellezza vi si schiuderà, ascolto dopo ascolto, Remain in Light diventerà una droga.
Un disco da isola deserta, appunto.

3 commenti:

Rispettate le regole del buonsenso e della civiltà, e una firma non guasta mai. Nascondersi dietro ad un "anonimo" è solo un modo per non prendersi la responsabilità di ciò che si dice.