sabato 19 settembre 2009
Quanti ancora?
Sarò sincero, a costo di sembrare cinico: l'unico sentimento che questo attentato suscita in me è rabbia. Non provo compassione, non provo tristezza, ma solo ed esclusivamente una grande rabbia, per una serie di motivi. Per la retorica, innanzi tutto. La trovo stomachevole. Abbiamo le orecchie piene di parole grandiose, che ci rassicurano e ci fanno commuovere. Parole come "libertà", "democrazia", "eroi", "pace". Ma quali eroi? Quei poveri ragazzi sono morti sul posto di lavoro. Ragazzi del Sud, che forse avrebbero voluto fare ben altro, nella vita. Ragazzi che forse hanno visto nella carriera militare l'unico sbocco lavorativo, con molti rischi ma ben remunerato. Ragazzi che diventano improvvisamente "eroi italiani" se saltano in aria in Afghanistan, e non più i terroni portatori di mafia che erano fino al giorno prima.
Quale "missione di pace"? In Afghanistan non c'è nessuna pace, non c'è mai stata. Che la smettano di parlarne. In Afghanistan è in corso una guerra, punto e basta, e in guerra devi sparare prima che sparino a te. Per cui chiedo alla politica - tutta la politica, da sinistra a destra, fino al capo dello Stato - di finirla di parlare di "missione di pace". E' un inganno, e un insulto nei confronti di chi quella guerra la vive sulla propria pelle. La politica dica pubblicamente che l'Italia è un paese in guerra, con tutto ciò che ne consegue.
Siamo andati in Afghanistan per "esportare la democrazia". Ma che significa? La democrazia cresce se c'è una presa di coscienza da parte del popolo, se nasce una Resistenza nei confronti dei totalitarismi, degli estremismi religiosi. Questa presa di coscienza in Afghanistan ancora non c'è, e credo che forzare la mano dall'esterno, proclamando un presidente corrotto con delle elezioni palesemente truccate, non possa che peggiorare la situazione. Tentare di esportare la democrazia non solo è sbagliato dal punto di vista concettuale, ma anche tremendamente dannoso, è una manovra che allontana la democrazia, invece che avvicinarla.
La morte di sei connazionali è un fatto doloroso, non può che essere così, per tutte le persone di buon cuore. Ma provo un'immensa rabbia a sentire frasi fatte come: "Questo è il momento del dolore, non delle polemiche". Ma quale polemica? Qualcuno si chiede perché i nostri soldati stiano morendo in Afghanistan e subito questa semplice domanda diventa una "polemica"? E' proprio questo il momento di parlarne, perché la memoria è molto, molto corta. Adesso si struggono tutti dal dolore, ma quanto durerà, prima che cali di nuovo il silenzio? Una settimana? Due? E allora ci saranno altre morti, altre "polemiche", e di nuovo silenzio.
Ma non si può andare avanti così all'infinito. Io mi chiedo: quanti altri ancora dovranno morire, prima di capire che stiamo lottando per qualcosa che non esiste? Il Vietnam non ha insegnato proprio nulla? Evidentemente no, la memoria è davvero troppo corta.
Un sacrificio può essere richiesto solo se c'è qualcosa per cui valga la pena lottare. In caso contrario non c'è nessun sacrificio, ma soltanto morti inutili in una guerra inutile, e per questo ancora più raccapriccianti e dolorose.
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oh...qualcuno mi capisce. posso metterti nei miei link?
RispondiEliminaCertamente, volentieri!
RispondiEliminagrazie per esserti iscitto ai miei lettori.
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