Un amico che ti butta giù dal letto controvoglia alle sette di mattina è prezioso, a pensarci bene una volta scacciate le parole e i pensieri sporchi del risveglio. Ti evita di tergiversare tra le coperte fino alle undici, quando ti alzi incazzato per aver sprecato (sprecato?) una mattinata che avresti potuto sfruttare per fare tutte quelle cose che non hai mai tempo di fare, e incazzato perché il mattino libero dalla tirannia della sveglia è ormai evaporato. Quindi ringrazialo di cuore, questo tuo amico che ti ha convinto ad accompagnarlo a un'interessantissima sessione di pesca al lago.
...grazie un cazzo invece. Le note amare del caffè a quest'ora del mattino rimbalzano come palline da flipper tra le orecchie, e senti il freddo che ti attende tra qualche minuto insinuarsi nel buco della serratura. Perlopiù nella tua personale classifica della noia la pesca sta sul podio, battuta solamente dalle corone in chiesa e la trilogia de "Lo Hobbit"1. Ma ormai sei in auto con un paio di canne da pesca nel bagagliaio, e in fondo ti farà piacere scambiare due chiacchiere in tranquillità.
Il lago a quest'ora del mattino è uno specchio immobile, quasi metafisico nella sua perfezione. I pochi avventori che bazzicano sulle rive stanno ancora trafficando con ami e galleggianti. Vedi un bimbo reggere con aria sbigottita la rete che gli porge suo padre. Probabilmente nel suo piccolo cervello saettano pensieri malformati di odio primordiale, attizzati dall'immagine del letto caldo da cui è stato strappato via, e non può credere che tra qualche tempo (nessuno può dire quanto) ripenserà al giorno in cui il suo vecchio l'ha salvato da un mortifero giro dei cimiteri con struggente nostalgia. Nei momenti più inaspettati basta un odore o una luce particolare per rievocare immagini di una potenza stordente: quel fotogramma in particolare, l'odore delle esche, il vapore che inizia a salire dall'acqua ti riportano a un momento indefinito della tua infanzia, ai piedi delle Dolomiti di Brenta. Tu e tuo padre, soli davanti a un lago blu come la notte.
L'amo preparato dal tuo compare spicca il volo e affonda nella nebbia che nasconde il lago. Decidi quindi di scattare qualche fotografia per darti un tono su Instagram. La luce del sole rimbalza tra infinitesimali gocce d'acqua e circonda ogni cosa di un alone meraviglioso, simile a un'aureola. Sei consapevole che la fotocamera non riuscirà a renderne appieno la magia, ma ci provi lo stesso. Il risultato è bello, sicuramente otterrà i suoi bei cuoricini. Ma dopo aver postato la foto rimani come congelato, e la colpa non è del freddo intenso.
C'è come un respiro in questo momento. Le foglie si muovono impercettibilmente, a ritmo con le increspature dell'acqua create dai guizzi delle trote. La nebbia è un fiato lentissimo ma costante, pare di sentirne il mormorio. La luce parla una lingua ignota ma che ti sembra di conoscere alla perfezione.
È lei.
Qualcuno sta mettendo fiori davanti alla sua tomba in questo momento, ma lei è qui.
Ma forse non è solo qui. Forse è ovunque – ovunque tranne che al cimitero, perché non ha mai sopportato le chiacchiere da gallinacci, i fiori che appassiscono da un anno all'altro, gli screzi familiari luccicanti sotto l'untuoso strato di ipocrisia socialmente accettata. Per cui ha deciso di disertare la festa comandata e di accompagnarti a pescare con il tuo amico che ora sta bestemmiando con l'esca che non funziona... e tu hai la sensazione che ci sia il suo zampino.
Porta pazienza, pensi senza sapere a chi ti stai rivolgendo, e trenta secondi dopo il filo si tende. Mentre il tuo compare recupera tu ti volti verso il sole, così che lei possa vedere il tuo sorriso.
E lei, tra le nuvole, contraccambia.
- Duecento pagine a caratteri medi che diventano nove ore di film: quasi tre minuti per pagina. A confronto Kubrick era più dinamico di John Woo. ↩︎
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