sabato 24 luglio 2010

Il capolavoro di Mister Autodistruzione


Il sonno della ragione genera mostri, ma non sempre portano danno. A volte i mostri generati sono abbaglianti come pietre preziose, capaci di illuminare una nuova strada da percorrere. È il caso di The Downward Spiral, il capolavoro assoluto dei Nine Inch Nails, uno dei dischi più importanti degli anni '90, assieme a Nevermind e OK Computer, ed è un disco da maneggiare con molta cura. Trent Reznor, il deus ex machina che si nasconde dietro ai Nine Inch Nails, ha riversato nei solchi di questo album i suoi fantasmi più oscuri, senza filtri né censure. La spirale discendente di cui parla il titolo è il vortice verso cui il protagonista viene risucchiato lungo le tracce, un vortice intriso di rabbia, follia e perversione, il cui epilogo non può che essere l'annullamento. Possono sembrare i deliri di un artista pazzo, ma in realtà parlano dell'essere umano, del devastante vuoto di valori con cui gli anni '90 hanno dovuto fare i conti, lo stesso vuoto che ha partorito Nevermind. Rabbia, violenza, perversione, smarrimento di sé: Trent Reznor, alias Mr. Self Destruct, descrive la sua deriva, ma è la deriva di una generazione intera.
Un contenuto così turpe è difficile, se non impossibile, da maneggiare. Eppure Trent Reznor ce la fa, perché Trent Reznor è un genio. In lui convivono l'artista maledetto ed il cantautore, capace di plasmare la materia più difficile con sensibilità ed inventiva.
Per cui come suona questo disco? La musica industrial, di cui The Downward Spiral è il massimo esempio, è un cocktail malato di hardcore, elettronica e metal. Ritmiche ossessive si mescolano ad effetti vocali disturbanti e venefici riff di sintetizzatore. Un suono molto adatto alla tematica. Le tracce si susseguono come una raffica di pugni, a partire dall'iniziale Mr. Self Destruct,  passando per la blasfemia di Heresy e la schizofrenia tradotta in musica di The Becoming. Il primo ascolto può essere davvero ripugnante, siete avvisati. Ma la statura dell'artista si rivela già al primo impatto nell'abilità con cui vengono plasmati i suoni più disparati e contraddittori (l'utilizzo "ritmico" delle grida in The Becoming è qualcosa di sconvolgente) per costruire non semplici frammenti musicali, ma vere e proprie, spesso grandi, canzoni. La vera forza di questo disco però si schiude ascolto dopo ascolto, quando dal terrificante impasto sonoro emerge il cuore profondamente cantautorale delle tracce, un cuore malato e devastato, ma terribilmente umano. Non a caso la traccia più sconvolgente è la conclusiva Hurt, una straziante ballata acustica appena sporcata dall'elettronica, ripresa poi in maniera eccelsa da Johnny Cash, in cui la rabbia lascia il posto ad un'infinita tristezza e desolazione. In funzione di questo pezzo tutto il disco assume un senso diverso, una forza purificatrice. Reznor ha dichiarato più volte che l'aver dipinto in musica i suoi fantasmi gli ha permesso di sconfiggerli. C'è da credergli, e c'è da ringraziarlo, perché nel farlo ha regalato all'umanità una pietra miliare della musica contemporanea, una devastante opera morale il cui fascino oscuro non farà che aumentare nel corso degli anni.

5 commenti:

  1. e io ringrazio te per averlo riproposto! lo tiro fuori dallo scaffale e lo ascolto… anzi lo uso come colonna sonora di quel che sto scrivendo.. Rigrazie!

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  2. Si è molto coerente con gli anni '90: un viaggio indietro nel tempo.

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  3. @Petrolio: riprego!
    @Sara: purtroppo si adatta perfettamente anche ai nostri tempi.

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Rispettate le regole del buonsenso e della civiltà, e una firma non guasta mai. Nascondersi dietro ad un "anonimo" è solo un modo per non prendersi la responsabilità di ciò che si dice.