venerdì 30 giugno 2017

I monoliti neri

Soundtrack: Warszawa by David Bowie

In un tiepido giorno di maggio un essere proveniente da una galassia lontana lontana decise di fare una passeggiata a Berlino. L'idea gli venne ascoltando le canzoni di un terrestre che raccontava di astronauti persi nello spazio e uomini che arrivavano a vendere nientemeno che il mondo in cui vivevano, un umano dall'aspetto strano, androgino e con gli occhi di colori diversi, assai simile agli abitanti del pianeta da cui proveniva. L'alieno aveva appreso che la sua musica migliore era stata ispirata da una particolare città europea, per cui la sua innata curiosità lo spinse ad approfondire l'argomento recandosi direttamente sul luogo del delitto.

Apparve nel mezzo di una grande piazza dominata da una struttura maestosa denominata dai berlinesi "Porta di Brandeburgo". Le porte erano un potente simbolo di unificazione ovunque, anche nel suo pianeta, ma questa particolare porta gli trasmetteva un senso di timore inusuale, sembrava gridare a chi la varcasse "attento a quel che fai", e forse per questo la porta ora era sempre aperta, a ricordare solamente qualcosa che ora non è più.

Trascorse qualche minuto ad osservare l'umanità che sostava attorno e al di sotto della Porta poi prese una direzione a caso, incantato dagli ampi spazi e dal luccichio delle vetrate dei palazzi. Il cielo aveva un colore che non aveva mai visto nel suo pianeta. Si stava rallegrando tra sé e sé per la brillante idea quando vide qualcosa di molto strano.




Poco lontano dalla Porta di Brandeburgo qualcuno aveva deciso di posizionare migliaia di pietre nere. Da quello che poteva vedere erano molto grandi, ma era difficile valutarne le effettive dimensioni. Si avvicinò e si insinuò in uno degli stretti sentieri tra le pietre. Il percorso era dritto ma irregolare, e i blocchi lo sovrastavano a destra e sinistra a diverse altezze come cupe e silenziose sentinelle prive di anima. Quelle lastre così perfettamente nere e lucide lo soffocavano e gli ricordavano un vecchio film terrestre in cui gli esseri umani facevano grandi balzi evolutivi grazie a un monolito nero. Che quella specie di labirinto fosse un omaggio al grande artista autore di quel film? Forse c'entrava l'idea che l'evoluzione della specie e del pensiero prevedono un percorso sconnesso e spesso dominato dall'oscurità come quello? O forse era semplicemente un bizzarro gioco terrestre? Attorno a sé vedeva gruppi di ragazzini correre lungo i corridoi ridendo e nascondendosi dietro alle pietre, ma le loro manifestazioni di allegria contribuivano al suo senso di disagio. Doveva assolutamente vederci chiaro.

Accanto alla distesa di blocchi stava un edificio che sembrava rivestito dello stesso tipo di pietra. Entrò e vide la gente radunarsi attorno a pannelli luminosi pieni di fotografie e didascalie. Le immagini sgranate, in bianco e nero, ritraevano esseri scheletrici, solo simili agli umani che aveva attorno. In una fotografia vide una montagna che era un intreccio di braccia, teste, torsi. E poi ammassi di oggetti di ogni tipo, fili spinati, treni ricoperti di piombo pieni di uomini. Le immagini restituivano in parte l'orrore che le fredde parole delle didascalie suggerivano solamente.

Entrò in una stanza buia nel cui pavimento schermi bianchi mostravano frammenti di parole scritte sulla stoffa o negli spazi vuoti di un libro. Erano tutte lettere di addio. Una striscia sulla parete riportava i luoghi da cui provenivano quelle schegge di disperazione: Aushwitz, Bergen-Belsen, Buchenwald, Treblinka. Il freddo che aveva iniziato a percepire fin dai primi ingenui passi nel labirinto divenne una saetta glaciale lungo la spina dorsale.

L’ultima didascalia dell’esposizione diceva che erano morte più di sei milioni di persone in quei luoghi infernali, ma la cifra esatta sarebbe rimasta sconosciuta per sempre. L’alieno mise in fila i nomi di tutti quei morti e superò di due volte la distanza che separava il suo pianeta dalla Terra. Era un sentiero soffocante, privo del minimo spiraglio di luce.

Quando tornò all’aria aperta ebbe un secondo di sollievo, prima di posare lo sguardo sulla distesa di pietre nere. Decise di attraversare nuovamente il labirinto.

No, non era uno stupido gioco terrestre.

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