martedì 1 maggio 2018

La Liberazione, gli amici, l'Italia

La grigliata del 25 aprile si trasformò in un ring nel pomeriggio, quando sul tavolo calarono gli amari. Una mia battuta stupida su uno degli uomini del momento, Di Maio – battuta che manco ricordo – accese una miccia che in gergo internettaro viene definita “flame”, una discussione ferocissima in cui le parti non parlano per cercare un punto d’incontro, bensì per trovare nelle risposte insoddisfacenti dell’altro le motivazioni delle proprie ragioni. Il risultato è un’escalation di violenza che si trasforma spesso e volentieri in una faccenda personale, fino a quando qualcuno dotato di sale in zucca calma gli animi e ognuno se ne sta lì, a rimuginare sulle cazzate dette oppure, ipotesi più credibile, su quelle proferite dall’avversario.

Di solito cerco di tenermi lontano da discussioni del genere, ma non ne sono immune, in particolar modo se si parla di argomenti a me cari come la musica e la maledetta politica. Purtroppo mi rendo conto che essere cresciuto nell’era di Berlusconi ha inquinato parecchio la mia capacità dialettica. Pur mantenendo alcuni paletti inamovibili (ad esempio: un fascista è un fascista), a farmi incazzare oggi è la mancanza di sfumature nei convincimenti altrui, cosa che non capitava prima della caduta di Silvio nel 2011. Lui era il Male e chi si contrapponeva a lui era il Bene (più o meno). Ora che è venuto a mancare il gigantesco alibi berlusconiano la sinistra è esplosa nelle sue contraddizioni interne, nella sua incapacità di leggere il presente e nella sua incerta collocazione all’interno delle categorie moderne (chi rappresentare? Gli operai? I piccoli imprenditori? Le partite IVA? I disoccupati cronici? I creatori di start-up? Tutti quanti assieme?) e io sono totalmente sommerso da questi dubbi. La mia idea sarebbe di dialogare con (quasi) tutti per tentare di darne una risposta soddisfacente.

La violentissima contrapposizione destra-sinistra degli anni ‘90 ha però generato conseguenze che si trascineranno ancora per molto tempo. Un’intera generazione è cresciuta nella convinzione che le regole istituzionali non contino, che basti rivolgersi al “popolo” (o perlomeno, alla parte “buona” che non votava Berlusconi) per cambiare le cose, che i compromessi siano l’equivalente di un patto con il diavolo, che il “mestiere” del politico, con il suo carico di competenze, sia più sporco di quello di un rapinatore. Questa convinzione è stata abilmente manovrata da una Srl e ora occupa quasi un terzo del Parlamento.

Il 25 aprile, mentre mi infuocavo nel ribadire un paio di semplici dati (se prendi il 33% dei voti non puoi pretendere di decidere come se avessi preso il 51%; se urli alla “dittatura” quando viene proposta una legge elettorale maggioritaria non puoi incazzarti se il proporzionale non ti fa governare da solo), una parte del cervello mi diceva: perché stai urlando? È inutile. Io (o perlomeno, la mia parte politica) rappresento il Male, la parte che ha rubato finora, ed è incredibile che io possa ancora essere succube del Male. Non ci sono sfumature, non esiste l’idea che per cambiare le cose occorra un lavoro lungo, complicato, in cui si deve essere disposti a perdere qualche pezzo e compiere dei sacrifici. Io sono potenzialmente disponibile a costruire un dialogo con te, ma le basi devono essere comuni. Se giochiamo a calcio la partita parte sempre da centrocampo, non puoi pensare di posizionare la palla sul mio dischetto del rigore. Se non si abbatte questo muro, come è possibile dialogare?

Sono bastati un paio di bicchieri di troppo e una battuta per trasformare una grigliata durante il giorno della Liberazione nella rappresentazione perfetta delle catene e delle contraddizioni che impediscono a questo paese di decollare. Sono amareggiato perché so di aver contribuito in passato a costruire queste catene, so che l’essere dalle mille facce che fa capo a Casaleggio è nato anche per colpa mia, e so che, nonostante tutta la buona volontà messa in campo, con quella roba non è possibile dialogare. È come parlare due lingue diverse, due lingue aliene tra loro. Anche due amici fraterni si ritrovano a urlarsi addosso senza capire una parola l’uno dell’altro.

Forse la sto facendo più grossa del dovuto, ma credo che questa spaccatura porterà a disastri peggiori del ventennio berlusconiano. Gli anticorpi anti-Silvio invocati da Montanelli sono impazziti e rischiano di distruggere tutto. Forse un giorno interverrà una chemioterapia in grado di cambiare le cose ma sarà violentissima, e a pagarne il prezzo maggiore sarà chi non ha pensato a cambiare un pochino se stesso, prima ancora che gli altri.

Per il momento, credo che eviterò battute su Di Maio alle prossime grigliate.


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